domenica 6 agosto 2017

La badante giusta

Nel corso di questi due anni molte sono le badanti che si sono date il cambio ad assistere mia mamma. Molte quelle che si sono fermate appena qualche giorno. Moltissime poi quelle che abbiamo incontrato solo per qualche ora, giusto il tempo di una fugace conoscenza. Non riesco più a ricordarle tutte.
Ma una mi è rimasta impressa. Aveva saputo che stavo cercando una badante e mi ha telefonato per presentarsi. Ci siamo messi d’accordo: va bene stasera? Perfetto. Fissiamo ora e luogo: 19.30 a casa di mia madre.
Con voce un po’ rauca la avviso che forse mia madre è un caso difficile. Non l’avessi mai fatto. La ragazza – dalla voce mi sembra giovane, e adesso anche stizzita  – dice che «non celai anziana difficile, celai solo badante giusta. Io badante giusta».
Non oso dire più niente. Deglutisco e le dico ciao. Non le chiedo neanche come si chiama e di che nazione è. Tanto è quella giusta.
Arrivano le 19.30. È estate, fa caldo. La candidata badante arriva. Elegante, ma sportiva. Bionda, giovane, simpatica. A mia mamma piace subito. Ci ritiriamo a discutere in studio e le propongo il contratto. Accetta subito, tutto a posto. Sorrido, Cominciamo domani, ok? Ok.
Poi però si gira. «E quello che cos’è?». Indica un vistoso attrezzo meccanico che occupa mezzo studio.
«Quello è un montascale a cingoli – le spiego didattico – devi usarlo per fare scendere mia mamma…».
La vedo accigliarsi. Si aggiusta i braccialetti di legno che porta alla sinistra. Si tocca il naso. Si siede sul divano. Posa le mani sulle ginocchia. Mi guarda.
«Po-possiamo provarlo subito» - azzardo. Lei non dice niente ma fa segno di sì con la testa. Stacco il montascale dalla presa di corrente, lo accendo con la chiavetta e comincio a portarlo verso il vano scale. Lei mi segue, osserva e fa domande.
Carichiamo la carrozzina con mia mamma e cominciamo a scendere. Prima che siamo arrivati al primo pianerottolo, la «badante giusta» ha già un colorito piuttosto pallido. Non arriveremo mai in fondo con lei. Comincia a mettersi le mani nei capelli e a urlare.
«Ma cosa c’è?» le chiedo.
«Io vedo signora morta. Troppo pericoloso».
«Ma se so farlo persino io…» .
«Certo. Tu uomo. Addio».
E fugge verso corso Italia, sempre urlando.
Torna, però, dopo alcuni minuti. Quando ormai siamo fuori anche noi in strada e il montascale non le fa più paura. Mi ignora, tanto «io uomo».
Parla con mia madre e le dice che se vuole verrà a trovarla. Parla dolce, con tenerezza.
Mia madre nemmeno la guarda. Però le urla: «Scì ch’o m’òn fä a mi. Sta-t-òn a ca toa, tërdòca…».
E fa bene mia mamma ad usare il violese.

Nemmeno so di che nazione sia, la «badante giusta».  

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