mercoledì 16 agosto 2017

Nonne sull'orlo di una crisi di nervi

Ok, montagna. Unica occasione di ferie: un giorno sulle Alpi piemontesi. Un paese che non dico - e che non è il mio. Sono lì con un amico alle sette di mattina. Un amico che vedo una volta l'anno e che è amico lo stesso. Saliamo su per circa 1000 metri di dislivello fino quasi a quota 2000. Ce la prendiamo comoda. Parliamo poco, ma ci capiamo lo stesso. Camminiamo per tre ore e mezza.
Ne è valsa la pena. La giornata è bella, il panorama fantastico. Qualche foto - malriuscita. Come fotografo faccio pena. Mangiamo un panino e riprendiamo la via della discesa.
Ma tutto questo non interessa a nessuno.

Quando siamo di ritorno nel nostro paese di partenza sono quasi le due di pomeriggio. Prima di salire in macchina ci riposiamo un po' sulle panche in piazza. Vicino alla fontana. Con in mano la borraccia.
In questa piccola piazza di paese. Deserta. Solo una manciata di auto parcheggiate ai bordi.

C'è un bambino. Avrà cinque o sei anni. Pantaloni corti rossi. Canottiera blu. Sandali ai piedi. Pedala avanti e indietro in bicicletta, senza rotelle. Velocissimo. Troppo veloce. Cerca il sole, sembra che ne insegua i raggi.

Da una delle case in ombra esce una vecchia. Cammina un po' storta. Ma va veloce anche lei.
Si avvicina al bambino e lo chiama per nome. Amos!

Il bambino nemmeno la guarda, continua a correre con la bici. Zigzaga fra le auto. Fa la gimcana tra le panchine. Dove siamo seduti noi, sì, stanchi stravolti e forse anche un po' penosi: ma lui nemmeno ci vede. Ha altro per la testa.

Aaaaaaaaaaaamos! La nonna - perché quello deve essere, la vecchia: la nonna di Amos - arranca per la piazza, con una mano appoggiata sull'anca destra e l'altra che cerca di afferrare nell'aria degli invisibili fili.
Come se Amos fosse una marionetta. Bisogna solo tirare il filo per fermarlo.

Ma il filo non si trova. La nonna urla ad Amos che non deve lasciare solo suo fratello Elia. Dov'è Elia, si può sapere.
Amos senza fermare la corsa le urla: non sono mica il guardiano di mio fratello.

Io seduto sulla panchina ho un sussulto. La borraccia mi sfugge di mano.

La nonna non si scompone, invece. Torna alla carica. Che fine ha fatto - urla - tuo fratello?
Elia sta giocando - grida il bambino, mentre sfiora una Panda parcheggiata davanti alla chiesa.
Poi si lancia contro un cane comparso all'orizzonte, in direzione del cimitero.

La nonna si appoggia entrambe le mani alle anche. Gonfia il petto e lo sgrida. Non mi rispondere così, Amos!
Aaaaaamos...

Ma Amos è sparito. Anche il cane è sparito. La piazza piomba in un silenzio irreale. Poi si sente un guaito. Il lamento di un cane. Laggiù, verso il cimitero.
La nonna è sola in mezzo alla piazza. Batte ritmicamente con le mani sulle anche. Tormenta le tasche del suo scamiciato a fiori. Viola e nero, con qualche chiazza di rosso. Chissà cosa cerca, in quelle tasche.

Poi si gira verso di noi. Sospira, alza entrambe le mani al cielo. Ed è al cielo che si rivolge. Urla: che testa di cazzo. Riferito al bambino, ovviamente.

E ovviamente noi torniamo in città.



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